Quando arriva questo periodo dell'anno, mi galvanizza l'idea di andare per prati e per boschi a cercare di riconoscere le erbe spontanee. Poi magari cercarne le proprietà curative e benefiche... ed infine sentirne il gusto per poterle valorizzare in cucina.
Capite bene quindi che, appena ho visto il
contest della cara amica Ambra, ho subito pensato che non potevo perdermelo! Anche pensando al magnifico premio: un week end il
Rifugio Meyra Garneri in Val Varaita (Cuneo) con una lezione con lo chef Jury Chiotti sull'uso in cucina delle erbe spontanee... doppio wow!
Sono settimane che sto cogitando intorno al tema richiesto, che non è solo sull'uso delle erbe spontanee, rigorosamente raccolte da noi, ma soprattutto l'approfondimento dell'uso nei piatti locali, quelli tipici della tradizione.
Ecco, io sono bergamasca. La cucina tradizionale dei miei luoghi non ha grande finezza e sensibilità nella valorizzazione di quel che il territorio può offrire. O almeno, nulla che si possa confrontare con il prezioso patrimonio di regioni come la Toscana, la Puglia o la Sicilia, dove la fortunata presenza di climi e territori generosi, ha già di partenza regalato una base importante con prodotti enogastronomici talvolta di grande valore.
Per l'occasione ho anche fatto qualche piccola ricerca in rete, scoprendo che possiamo vantarci di piatti tipici come lo stracotto d'asino, polenta e uccelli, stinco di maiale, capriolo stufato, verza e cotechino... e via su questa falsariga. E a me cascano le braccia. Pur essendo una BG-purosangue da generazioni- il mio DNA urla vendetta al pensiero del capriolo in padella. Non posso parlare poi della "Cassòla" (la verza col cotechino, uno dei pochi piatti che mia mamma sa cucinare bene, dopo il coniglio arrosto), che quando la mangio me ne ricordo per due giorni interi, o meglio è il mio stomaco che, dovendosela lavorare per tutto il tempo, me ne fa ricordare!
Venendo al contest, ho scelto di tornare a spada tratta cavalcando gli amatissimi "
scarpinòcc di Parre", una pasta ripiena che mi piace da impazzire, soprattutto perché priva di carne, una volta tanto.
Ma per la speciale occasione ho cercato, e trovato!, dell'aglio orsino... che da tanto desideravo provare in cucina.
Ora che so dove trovarlo non mi perderò l'occasione per sperimentare qualche altro uso di questa pianta dalle
mille proprietà.
Non contenta, ho trovato in pratica una piccola piantagione spontanea di
silene, vicinissimo casa mia. Quindi l'elaborazione di questa ricetta è nata così, quasi cercando di fare "di necessità virtù" e rigorosamente con quel poco di cui possiamo disporre per tradizione, che non sia la selvaggina.
pasta fresca
400 gr. farina 00 mista 0
1 uovo
160 ml. latte
2 cucchiai di burro sciolto
pesto di aglio orsino
10-12 foglie di aglio orsino
50 gr. mandorle, nocciole e pinoli
20 gr. parmigiano
olio q.b.
ripieno
250 gr. grana padano grattugiato
150 gr. pane grattugiato
50 gr. foglie di Silene già sbollentate e strizzate
latte circa 100 ml.
1 cucchiaio di burro sciolto
qualche fiore
d'aglio orsino
poca zeste di limone
1 bustina mix spezie (qui "La Saporita",
con
cannella, chiodi garofano, anice stellato, noce
moscata, coriandolo)
Preparate la pasta fresca: amalgamare bene in una
ciotola con una forchetta, continuare poi rovesciando l'impasto sul piano di
lavoro infarinato e lavorare bene. Se rimane troppo appiccicoso, integrare con
della farina che viavia verrà incorporata. Io però uso il mio magico Bimby, che
in 30 secondi a vel. 5 e senza sporcare nulla, mi regala una meravigliosa palla
di pasta fresca ed elastica, pronta per riposare in frigo una mezzoretta.
Attenzione ad avvolgere la pasta in pellicola trasparente a contatto, la
manterrà morbida ed umida.
Nel frattempo, preparate il ripieno: anche per
questo, adopero il bimby. Procedo prima con il pane secco fatto a pezzetti ed i fiori dell'aglio orsino, mando a vel. 7/8 fino a polverizzare il tutto. Poi
aggiungo il grana fatto a pezzetti, vel. 7/8 fino a che sia ben grattugiato. Poi
procedo con la silene già sbollentata e ben strizzata, il burro, le spezie ed il latte, che metto per ultimo perché mi
regolo ad occhio, a raggiungere la consistenza ancora briciolosa ma
sufficientemente umida da restare un bocconcino compatto.
A questo punto,
procedete tirando la sfoglia con la macchinetta: io ho una Atlas Marcato, che
arriva fino al n° 7 con spessori sottilissimi. Per gli scapinocc mi fermo al 5,
spessore che in cottura rende al raviolo una certa sostanza. Man mano che tiro
una striscia, la dispongo subito su un vassoio di cartone infarinato, metto
ordinatamente il ripieno, in quantità pari ad una ciliegia per ognuno,
sovrapponendo una seconda striscia ed avendo cura di sigillare bene i bordi
senza inglobare aria: altrimenti in cottura l'aria si dilata e si
aprirebbero.
Vanno tagliati con un tagliapasta dai bordi sagomati, e poi vanno quasi
ripiegati su sé stessi, premendo questa forma con un dito al centro.
Per il pesto: io metto nel mixer sia il parmigiano a pezzetti, sia la frutta secca e trito finemente. Solo a questo punto metto le foglie, spezzettate e frullo fino ad ottenere un composto bricioloso, a cui poi aggiungo l'olio, in quantità necessaria ad ottenere una sorta di pasta cremosa.
Cuocete gli scapinòcc in acqua bollente, un po' per volta, solo pochissimi
minuti, poi raccoglieteli con una schiumarola e teneteli in caldo in una
padella bassa e larga con già preparato olio e pesto leggermente diluito con acqua di cottura. Servite decorando il piatto con qualche fiore candido.