Pasta fresca al grano saraceno e farina di castagne, con ceci e rosmarino


Un piatto di pasta fresca, dal sapore molto particolare e pieno di sfumature, grazie alle farine di castagne e di grano saraceno. Ma in fondo, un vero "piatto di casa", di quelli da trasformare nella propria tradizione di famiglia.

Io, l'ho già detto tante volte tra queste pagine, non ho avuto qualcuno che nella mia famiglia mi insegnasse a cucinare secondo una tradizione,  non ho ricordi di nonne o zie intente a tirare pasta, fare tagliatelle o ravioli... Invece  ricordo molto bene mia mamma intenta a lavorare, a fare conti, a trattare condizioni commerciali e polizze assicurative. La ricordo anche "schernire" con lo sguardo quelle donne, amiche o parenti della sua cerchia, che facevano della cucina di casa il proprio "centro di gravità permanente".

In tempi molto recenti, durante una delle nostre chiacchierate a proposito di passioni, mi ha guardato con un'aria stranita e mi ha detto "Ma questa tua passione per far da mangiare, da dov'è venuta? Da me, non di certo". Ed è facile capire perché... 

Per una tacita legge di compensazione, sono cresciuta cercando di riempire uno spazio che nella nostra famiglia era stato lasciato libero, quello del tradizionale pranzo della domenica, del piacere di scoprire (e riscoprire sperimentando) sapori e prodotti nostrani mai assaggiati prima, spesso addirittura sconosciuti. Mentre scrivo sorrido da sola pensando a un'altra inevitabile citazione musicale, dal caro De André con la sua Bocca di rosa "Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie". Mentre lei, la mamma, mi lasciava fare (anche perché trovare un piatto pronto dopo che magari anche la domenica mattina aveva lavorato, era un vero lusso!) tutta mia era la possibilità di spignattare, sperimentare e perfino fare la spesa a mio piacimento, senza restrizioni tranne quella di dover riordinare a fine lavori. Una cosa molto preziosa, in fondo un vero regalo del quale mai potrò ringraziare abbastanza mia madre. 

E' andata così anche per queste tagliatelle nate dalla voglia di preparare per la famiglia un comfort food, in una domenica mattina uggiosa e invernale.
La pasta con queste dosi, è stata usata anche per realizzare una piccola teglia di lasagne al prosciutto cotto e Branzi stagionato, ma avendola tirata sottilissima, ne ho ricavate parecchie strisce (davvero troppe). Prima che asciugassero, alcune le ho passate con la rotella decorativa, ricavando delle reginette. Le ho lasciate seccare un paio di giorni e poi, in cottura ho sorvegliato attentamente per tenerle molto al dente: sono bastati meno di tre minuti, per un piatto di assoluta bontà.



Pasta fresca al grano saraceno e farina di castagne
con ceci e rosmarino

per la pasta fresca
120 g. farina 00
100 g. farina di grano saraceno
100 g. farina di castagne
3 uova medie a temperatura ambiente
1 pizzico di sale fino

per il condimento
150 g. ceci già cotti
olio, sale, rosmarino fresco
formaggio stagionato in scaglie - discrezione-

Preparate la pasta, amalgamando gli ingredienti in un'ampia ciotola. Usate prima una forchetta e poi la punta delle dita, per ottenere una palla dalla consistenza piuttosto sostenuta. Rovesciatela sul piano di lavoro pulitissimo e ben infarinato e lavoratela, aggiungendo altra farina 00 se risultasse appiccicosa. Lasciatela riposare avvolta in una pellicola trasparente in frigo. Passata circa mezz'ora, suddividetela in pezzetti e tiratene un po' per volta con la macchinetta tira-pasta: io sono arrivata fino all'ultima tacca, la 6 per la Marcato.
Se  volete ricavare tagliatelle o reginette, rifinite usando la rotella smerlata oppure l'apposito rullo della macchinetta, quindi lasciate asciugare qualche ora prima di cuocerle. Basteranno 2 - 3 minuti in acqua bollente e salata.
Servite le reginette saltandole in padella per un attimo insieme con i ceci, il rosmarino e un filo d'olio.
Aggiungete le scaglie di formaggio solo quando sono nel piatto.
Se invece vorrete usarla per fare le lasagne, lasciate le strisce della larghezza più ampia che potete, sbollentatele in acqua salata per un minuto e stendetele ad asciugare su panni pulitissimi. Quindi procedete all'assemblaggio della teglia con gli ingredienti che più preferite. Essendo la pasta piuttosto aromatica, a noi sono piaciute con un condimento leggero, fatto di fette di prosciutto cotto, di formaggio Branzi e una besciamella un po' fluida.

Aceto aromatizzato ai petali di rosa



Ecco un'idea che potrete tranquillamente preparare già fin d'ora per i vostri pensierini natalizi Home-Made: avete tutto il tempo che serve, a patto che vi guardiate in giro da subito, cercando di individuare nel vostro giardino o, perché no, tra i giardini amici, qualche bocciolo di rosa che ancora resiste alle notti gelate, ormai sempre più frequenti.
Sembra incredibile, ma le rose, che iniziano a fiorire a tarda primavera, continuano con grande costanza rifiorire fino tardo autunno!
Nel giardino dei miei ci sono alcuni cespugli di rose, di qualità differenti ma tutte dai colori rosso-rosati, che negli ultimi giorni già iniziavano a vedere gelati i petali più esterni: quando le vedo, non posso fare a meno di staccarne i boccioli e raccoglierli in una ciotola.
Poi, scatta in me il desiderio di conservarli e preservarne il colore ed il profumo. E' così che usare questi (o anche altri) fiori per aromatizzare l'aceto, diventa quasi un gioco, divertente ma non solo, una sorta di sperimentazione dei profumi che il naso percepisce quando li gustiamo in un condimento.

Dell'aceto faccio un uso molto moderato, soprattutto ormai ho abbandonato la versione tradizionale -derivata dal vino- a favore del Balsamico. Ma devo dire che da quando ho scoperto di poterlo aromatizzare, ho fatto diversi tentativi, tutti molto intriganti e pienamente soddisfacenti dal punto di vista organolettico. La prima versione è stata l'aceto aromatizzato con i lamponi, poi con i mirtilli, poi con i fiori di erbe aromatiche, tipo l'erba cipollina.
La domanda, sottile ed inespressa, ma comprensibile, è: come si usano questi aceti aromatizzati?
Beh, io mi accontento di usarli in purezza, così come si usa il normale aceto: ne amo il profumo su delle insalate molto delicate.
Però la capacità di contrastare quella sensazione scivolosa del grasso in bocca, rende l'aceto ideale anche per aromatizzare una maionese "diversa", o per aggiungere una nota di contrasto alle carni rosse e a quelle nere. Nella cottura delle crucifere, come verza, cavoli e cavolfiori, è d'uso comune aggiungere una spruzzata d'aceto, perché si pensa ne possa mitigare il cattivo odore in cottura..
E' possibile ottenerlo dalla fermentazione di sostanze blandamente alcoliche, quindi non solo dal vino, ma anche dal succo di mele e di fichi ad esempio.
Ecco, questi sono solo alcuni tra gli usi più ricorrenti dell'aceto, che anche nelle sue versioni più semplici, rimane per me un prodotto affascinante, già i greci ed i latini ne facevano uso come accompagnamento ai loro pasti quotidiani. Sostituite il vostro aceto semplice e tradizionale con uno aromatizzato e le vostre preparazioni acquisteranno una marcia in più.

Per aromatizzare l'aceto con i petali di rosa -o anche con altri fiori a seconda del periodo dell'anno in cui scegliete di farlo) usate quello di mele, meno aspro del tradizionale aceto di vino.



Aceto ai petali di Rosa

500 ml. aceto di mele
due manciate di petali di rosa
(ma potrete scegliere
ma anche fiori differenti
in base alla stagione! *)
tempo e pazienza

Lavate delicatamente i fiori ed asciugateli al meglio. Mettete l'aceto in un contenitore, insieme ai fiori. Chiudete con pellicola trasparente, sigillando bene lungo i bordi e lasciate macerare per circa due settimane in un armadietto, al buio. Ogni tanto scuotete il contenitore.
Passato questo tempo, filtrate l'aceto passandolo attraverso un colino anche a maglie grosse, e ripassatelo poi, prima di imbottigliarlo, foderando il colino con un paio di garze sterili (o anche solo uno scottex) per filtrare definitivamente da tutte le impurità. Scegliete delle bottigliette carine e, con una semplice etichetta e un bel fiocco, il vostro pensiero natalizio è pronto!

*In primavera, non perdete l'occasione di prepararlo con i fiori d'erba cipollina!!

Vellutata di zucca, lenticchie e carote




Questo è il periodo di zucche e devo dire che con questo ortaggio ho uno strano rapporto, un po' d'amore e un po' di odio. In purezza non ne amo il gusto, così dolce, né la consistenza che trovo sempre troppo pastosa. Ma quando è stagione -come adesso- senza remore o timori, ogni tanto mi prendo una zucca e mi diverto a sperimentarne il gusto. Se ne trovano di tante specie in commercio ed è interessante assaggiarle in purezza per riuscire a distinguerne le sfumature. Ho scoperto che la varietà Delica è quella che preferisco in assoluto. Ha una compattezza particolare, che si mantiene anche durante la cottura e che permette, ad esempio, di poter essere passata allo schiacciapatate per preparare gli gnocchi, con aggiunta di pochissima farina.
In questa ricetta, in realtà non c'è particolare inventiva tranne (forse) la mia solita chiave di lettura del colore, una modalità interpretativa che mi fa scegliere, a volte in modo anche bizzarro, ingredienti di colori in tonalità abbinate, per tentare di armonizzare in un piatto sia le sfumature di sapore che quelle di colore :).


Di suo, la zucca ha proprietà alimentari e curative molto interessanti, come un'azione rinfrescante e riequilibrante dell'intestino, ristabilizzatrice della flora intestinale. Viene categorizzata come verdura, contrariamente ad esempio alle patate, che sono considerate carboidrati.
In questa ricetta, la zucca è abbinata alle carote ed anche alle lenticchie -legumi, che contengono circa il 20% di proteine e oltre il 55% di carboidrati- quindi il piatto risulta a basso contenuto proteico, ma mediamente a base di carboidrati.
Se vi piacciono i contrasti come piacciono a me, amerete questo piatto comfort con l'aggiunta di qualche dadino di pancetta affumicata e ripassata in padella a diventare croccante.

Vellutata di zucca, lenticchie e carote
dosi per 4
200 gr. lenticchie decorticate
(ma possono andare anche le classiche, risulterà solo un po' più scura)
200 gr. zucca già pulita
2 carote medie
10 cm. di porro
1 patata grossa (o due medie)
brodo vegetale quanto basta a coprire appena oltre le verdure

per condire
50 gr. pancetta affumicata a cubetti
rametti di rosmarino
semi di zucca

Pelare e tagliare a grossi pezzetti le verdure. Riunire tutti gli ingredienti in una pentola a pressione, o se preferite le cotture classiche, una bella pentolona, aggiungere il brodo, coprire e portare a cottura. Con la pentola a pressione sono bastati meno di venti minuti. Passare tutto col frullatore ad immersione e regolare di sale.
Servire impiattando con della pancetta a cubetti, che avrete reso croccante facendola saltare in una pentola senza alcuna aggiunta, tranne qualche ago di rosmarino e qualche semino di zucca, magari spadellato come primo ingrediente in maniera che in due o tre minuti si possano tostare leggermente.

Dolcezze Cuor di Toscana


Nel prossimo fine settimana, il 14 e 15 novembre si terrà a Pisa la bellissima manifestazione Dolcemente Pisa, evento dedicato alla pasticceria tradizionale italiana, che si propone di riscoprire attraverso i produttori del territorio toscano, gli autentici sapori della nostra "dolce" tradizione.
Nel decennale dal primo appuntamento, si amplia il consolidato rapporto con artigiani e piccole realtà produttive, con una rassegna espositiva dove ognuno potrà "raccontarsi e raccontare" facendo parlare soprattutto i propri prodotti.
Nell'ottica di approfondire la conoscenza di queste interessanti realtà locali, oggi vi parlo dell'azienda Sapori del Lago Nero - Dolcezze cuor di Toscana, laboratorio artigianale di biscotti a Cutigliano in provincia di Pistoia.

Il luogo in cui lavora l'azienda è già una promessa: Pian degli Ontani, una zona posta a oltre 800 mt. di quota nel tratto appenninico Pistoiese; è attraversata dal fiume Sestaione e vi si trova una Riserva naturale biogenetica -area protetta della regione Toscana-.
Il legame con il territorio, qui è inevitabilmente fortissimo e si esprime già a partire dal logo aziendale che mostra, stilizzati, i segni grafici della montagna, del fiume e del lago, il Lago Nero appunto.

Tutto ha inizio da un piccolo laboratorio artigianale con il forno, aperto negli anni venti del primo dopoguerra da Dino Sichi che, insieme al fratello, impronta da subito la produzione di biscotti tipici puntando alla qualità: in primis quella ambientale, che in luoghi come questi può fare una grande differenza. La purezza dell'acqua e dell'aria affiancate alla ricerca di materie prime di grandissima eccellenza e tipiche del territorio, sono state fin dall'inizio le linee guida. L'altra idea-cardine della filosofia di Sapori del Lago Nero punta ad un risultato "come fatto in casa".


E' da questa visione del prodotto finale, che deriva la precisa scelta di non avvalersi solo di macchine per le lavorazioni degli impasti, che ne possano intaccare la fragranza e la genuina profumazione. Per questa ragione i biscotti Sapori del Lago Nero sono ancora realizzati a mano, con grande attenzione a preservare sia le ricette che le tecniche della tradizione toscana.


E in una realtà commerciale dove si pensava di rivolgere il proprio prodotto ai locali, accade, non senza un briciolo di stupore, che il maggiore interesse verso questi prodotti eccellenti, si abbia non dai locali, ma dal mercato estero. E' così che il sig. Gabriele, attualmente titolare del laboratorio con la moglie e la figlia, imprenditore moderno ed accorto, cambia la denominazione del proprio prodotto, portando sulle confezioni la dicitura "Dolcezze Cuor di Toscana": una definizione che volutamente cerca di agganciare l'immaginario straniero verso i mitizzati paesaggi toscani, carichi di quel desiderio profondo di cose buone, fatte con le mani e con il cuore.

Perseguendo la filosofia del rispetto per le scelte etiche dei loro ingredienti, l'azienda Sapori del Lago Nero - Dolcezze cuor di Toscana si propone oggi come referente principale per coloro che preferiscono acquistare prodotti di assoluta qualità, ben consapevoli che le sinergie territoriali del KM zero possono creare un buon indotto economico e contribuire alla crescita anche di altre eccellenze del posto.
Parliamo di usare ingredienti come mirtilli, latte e ricotta freschi, burro prodotto in montagna, noci, marroni e nocciole, farina di castagne e di farro di produzione toscana... e tanto altro.


Molti sono i biscotti e i dolci presenti nella loro produzione: dai conosciutissimi e molto apprezzati Cantucci, presenti in ben venticinque varianti, ai frollini e biscotti di pasta frolla, fino alle paste di mandorle e agli amaretti. La scelta del prodotti è ampia, di assoluta eccellenza e molto intrigante.

www.lagonero.it    www.dolcezzecuorditoscana.it

L'azienda Sapori del Lago Nero - Dolcezze cuor di Toscana- sarà presente con i suoi meravigliosi prodotti, negli spazi di Dolcemente presso la Stazione Leopolda a Pisa, sabato 14 e domenica 15 Novembre. Info ed orari QUI.

La Valle dei Segni. Nel segno di una Storia...


...di un week end assolutamente magico, di cui oggi vi voglio raccontare.
Il luogo è la Valle Camonica, la Valle dei Segni, con il suo patrimonio di graffiti "a fatica" racchiusi in ben otto parchi dove, da circa il 10.000 a.c. fino al 1000 a.c. l'antica e primitiva popolazione dei Camuni ha lasciato migliaia e migliaia di incisioni. Storie di vita quotidiana, di caccia, di rituali... Segni che ancora oggi gli storiografi non hanno saputo interpretare davvero.
Dico “a fatica" racchiusi perché in realtà si trovano sparsi su un territorio molto più grande, talvolta impervio da raggiungere di quello ufficialmente delimitato come Parco delle Incisioni rupestri. La Valle Camonica infatti si apre a fondo valle affacciandosi sul lago d'Iseo, tra le provincie di Bergamo e Brescia con un paesaggio abbastanza ampio; salendo però va chiudendosi tra profili di alte montagne. Due su tutte, il Pizzo Badile che svetta con i suoi 3300 mt e il Concarena, carichi di storia, di leggende e di magie in questo spazio profondamente segnato dalla presenza umana.


E' in questi luoghi -e per questi luoghi- che nasce il progetto Cam-on eat: grazie alla volontà e collaborazione del Distretto Culturale della Valle Camonica con la Comunità montana, l'Associazione ristoratori Valcamonica e l'Assorifugi Lombardia, con l'obiettivo di promuoverne l'aspetto turistico enogastronomico attraverso la conoscenza del suo patrimonio storico.
Parte da una ricerca e raccolta di antiche ricette di famiglia, di usi legati ai prodotti spontanei del bosco e della natura, condotta attraverso le testimonianze dirette delle donne, che ha dato vita a ben due pubblicazioni: Erborare – Storie di Donne e di cucina in Valle camonica, e Cam-on eat – ricette e patrimonio della Valle Camonica.
Ecco allora che “Valle dei Segni” diventa un brand, un marchio, un altro “segno” che si aggiunge   al già ampio patrimonio della Valle, che porterà nel futuro una storia così antica.
Entrambi i libri sono stati presentati nella conferenza d'apertura di venerdì 2 ottobre 2015 presso il Palacongressi di Darfo Boario, alla presenza dei rappresentati dei vari enti coinvolti. Preziosa è stata la loro testimonianza, ciascuno portando il proprio punto di vista e la propria esperienza nell'offrire quotidianamente a tavola, un piccolo pezzetto di territorio attraverso i suoi prodotti.

Già nella scorsa primavera, in apertura del progetto, sono stati chiamati tre grandi nomi della cucina Bresciana noti a tutti nel campo della ristorazione: Riccardo Camanini -una stella Michelin al Lido 84, Iginio Massari, maestro pasticcere di impareggiabile esperienza e Philippe Levèillé -due stelle Michelin al Miramonti l'altro- che in tre manifestazioni differenti hanno scelto di proporre una cucina fatta di rivisitazioni e reinterpretazioni delle antiche ricette.


Straordinario è stato il risultato, perché il grande spessore di questi esperti, molto attenti all'uso delle materie prime del proprio territorio, ha potuto avvalersi di un aspetto poco noto al giorno d'oggi -ma in uso da sempre in ogni tradizione popolare-: la conoscenza e l'utilizzo delle erbe spontanee. Si tratta di ingredienti che permettono allo chef di poter raccontare al suo ospite non solo un piatto, ma una storia. Questo modo di fare comunicazione attraverso esperienze sensoriali importanti come il gusto e la vista, può portare molto e, più di ogni altra parola, può “lasciare un segno” dentro le persone che si avvicinano a tutto questo.

Sabato 3 ottobre, si è invece inaugurata, presso la Casa Museo di Cerveno, la Mostra “Raccontare l'uomo che mangia” con la presentazione di otto film per otto racconti, che possono darci la dimensione di come il cibo sta nella nostra vita, come attraverso l'uso di strumenti ed antiche tecniche possa dare forma a spazi e paesaggi, a un diverso modo di pensare e ad una certa organizzazione sociale. Ogni racconto, passando da un allevatore di bestie ad un casaro, da un allevatore di piante ad un cercatore di erbe selvatiche, offre testimonianza di un prezioso patrimonio -materiale e immateriale- fatto di strumenti ed oggetti, del sapere che passa dall'esperienza delle mani. Vi ritroviamo quei gesti che sanno raccontare l'Uomo che Ama, che offre Cura per i propri animali, per il proprio spazio e territorio e per quanto è possibile produrre... Grazie a questo mondo che (r)esiste, contro ogni logica di globalizzazione.


In tema, molto bella la visita al vecchio Caseificio Turnario di Cerveno, nato negli anni '20 del 1900 dalla volontà comune di "consorziarsi" per gestire al meglio quella preziosa risorsa comune che era il Latte. Un caso esemplare di organizzazione sociale per un uso condiviso delle risorse, anche importanti e costose che singolarmente non sarebbe stato possibile acquistare. Attorno vi si intreccia l'imprescindibile patrimonio storico di questa piccola comunità.


Molte altre informazioni sono disponibili presso il Portale della Valle camonica, mentre vi invito a visitare il sito www.valledeisegni.it , dove potrete fare un virtuale (e magico!) percorso tra suoni e grafica, per creare il vostro graffito personalizzato, grazie al quale visitare tutti i contenuti presenti del sito, filmati e brevi documentari, notizie ed informazioni su questo grande patrimonio.

Per questa bella e ricchissima esperienza, un grazie di cuore a:

Maura, Massimo e Cristina





Risotto mantecato al Vezzena con fiori spontanei
(di allium carinatum, cicoria, pisello odoroso)
dosi per 4

320 g. riso Carnaroli
700 g. brodo vegetale
1/2 cipolla
1/2 bicchiere vino bianco secco
(oppure due bulbetti di allium carinatum)
50 g. Vezzena 24 mesi - tagliato a cubetti -
2 cucchiai Robiola
Olio extravergine, sale
Fiori spontanei




Questo risotto l'ho preparato qualche settimana fa quando, ancora in vacanza in Trentino, mi sono divertita come sempre ad andare per sentieri e riconoscere/raccogliere le mie amate erbe spontanee.
Ho da poco scoperto che questa cosa -che tanto amo fare-  ha un nome! Un nome italiano, per giunta: "fitoalimurgia", talmente perfetto e così altisonante che pare una cosa nobile... la passione di raccogliere e cucinare erbe spontanee con finalità alimentari.
All'estero la chiamano "foraging", ma agli inglesismi e preferisco le definizioni italiane e mi piace pensare che in un passato anche relativamente recente, la spesa si poteva davvero fare nel bosco.
Il grande Web-mondo, però, è una piazza virtuale bellissima, dove è possibile riunirsi in gruppi con lo stesso interesse e dove coloro che conoscono di più, condividono ed elargiscono a chi si avvicina senza altro che una grande, umile e fortissima, voglia di conoscere. Di tornare alle origini.
E' così che piano piano sto facendo un piccolo e molto personale "upgrade", grazie al quale mi sono azzardata a raccogliere anche una o due erbe che prima non conoscevo. Le ho degustate prima da sole, foglia per foglia, cercando di capirle. Poi ho deciso come cucinarle e ho dato il via a sperimentazioni tutte mie, che presto condividerò qui.
In realtà è difficile usare le erbe spontanee in piatti diversi dalle frittate e dalle polpette. Talvolta è possibile inventarsi una torta salata, altre volte un ripieno di ravioli, oppure degli gnocchi colorati. Più raramente della pasta fresca con le erbe nell'impasto o magari un leggero minestrone con qualche cereale, che può stemperare questi gusti "diversamente buoni". Si tratta di sapori spesso amarognoli, che tendono a variare l'equilibrio della preparazione in modo non sempre gradito da tutti i commensali.
Ma... coi fiori è diverso. I fiori in questo caso sono puramente decorativi e il loro sentore di erba e di prato, pure con retrogusto amaro, rimane stemperato dalgi altri ingredienti. E mantengono alcune delle proprietà curative della pianta originaria, dando agli occhi una gioia incomparabile. Non trovate?
Se avete la fortuna di poter fare qualche passeggiata per sentieri non troppo battuti dalle automobili, e riconoscete alcuni fiori commestibili, raccoglieteli. Con delicatezza e senza rovinare troppo la pianta. Tagliate qualche cima e tenetela in un bicchiere con dell'acqua: potrete conservarli anche qualche giorno, per decidere come valorizzarli al meglio nel vostro piatto.



Fate pure un semplice risotto, come questo; scegliete un formaggio buono e piuttosto saporito per la mantecatura. Io avevo il Vezzena, ma similmente potreste usare del Casera, del Branzi, del Formai de mut, oppure del pecorino mezzano. E per i fiori... qui la semplice cicoria e l'umile pisello odoroso hanno fatto una coppia cromatica strepitosa, mentre l'allium ha aiutato con il suo sapore aromatico a dare un tocco di personalità al tutto.
Scaldate l'olio in una pentola insieme alla cipolla affettata sottilmente (oppure con i due bulbetti d'aglio tritato bene). Quando tendono ad ammorbidirsi, aggiungete il riso e tostate leggermente a fuoco medio. Sfumate con il vino e, quando è evaporato, iniziate ad aggiungere il brodo, un mestolo per volta, tenendo mescolato il riso, per aiutare i chicci a rilasciare un poco l'amido in cottura.
A qualche minuto dalla fine, aggiustate di sale e mantecate con il Vezzena a dadini.
Impiattate il risotto leggermente al dente, poco dopo aver aggiunto l'ultimo mestolo di brodo, in modo che resti morbidissimo, "all'onda". Potete lasciarlo riposare ancora un attimo mentre finite di porzionare il risotto. Decorate con i fiori solo al momento di servire.

Agrodolce di verdure. Sistemi di sopravvivenza al caldo



Agrodolce di verdure
1 kg. circa di verdure miste, qui ho messo:
3 zucchine, 1 porro, 1 peperone rosso e 1 giallo, 3 carote
(ma ci stanno benissimo anche le cipolline e il cavolfiore ad esempio!)
1 bicchiere di aceto di mele
2 bicchieri d'olio extravergine d'oliva
erbe aromatiche (come timo, basilico, origano, menta...)
1 cucchiaino sale
1 cucchiaio zucchero


Ci sono periodi in cui non ho voglia di fare nulla. Interi giorni e settimane che mi passano davanti senza il minimo programma, senza pormi obiettivi da raggiungere, semplicemente "navigando a vista". Corro dietro alle cose giorno dopo giorno, ma senza trarre nemmeno la soddisfazione di aver concluso qualcosa di ben preciso,per cui dire "toh! ce l'ho fatta".
E ci manca poi che a questo si sommi questo torrido anticiclone a danzare sulle nostre teste e che porta temperature assurdamente calde, che l'ozio si impadronisce anche dell'ultimo neurone rimasto in vita.
Gli orti amici però continuano a dare frutto, riempiendo il mio frigorifero di verdure buone, fresche e fragranti. E il mio desiderio di freschezza si riflette anche, ma forse soprattutto, sul cibo. Al punto che perfino il pensiero di un piatto di pasta al sugo mi fa inorridire.
Per fortuna, da quel magico frullatore che è il nostro cervello, qualche cosa mi viene in aiuto e, a volte, ci sono ricette che escono da sole, si compongono senza il minimo sforzo, senza dover sfogliare alcuna rivista o libro di cucina...
A me ad esempio, oggi è bastato aprire il frigo e tirar fuori un po' di cose sul piano di lavoro, guardare l'insieme ed esprimere il desiderio di un piatto freddo, gustoso e che non richieda di essere cucinato a lungo. Et voilà: una magnifica terrina di verdure in agrodolce.
Lo spunto mi arriva da questa ricetta, dove protagoniste sono le zucchine, ma senza troppi riguardi potrete usare le verdure a voi preferite. Io avevo queste, però voi lasciate briglia sciolta alla fantasia e il risultato potrà solo stupirvi.

Pulisco le verdure e le taglio: le zucchine a tocchetti, le carote a nastro, il porro a rondelle, i peperoni a listarelle.
Pongo il tutto in una capace pentola, metto il sale, le erbette aromatiche ben tritate ed infine il condimento: olio, aceto, sale e zucchero. Copro ed accendo il fuoco. Lascio andare fino a quando inizia a sobbollire; quindi abbasso il fuoco e lasciate lascio ancora per 10 minuti esatti. Poi spengo e lascio riposare coperto, a raffreddare. Trasferisco poi in una terrina e metto in frigorifero fino al momento di consumare le verdure: io le accompagno con del riso freddo oppure, meglio ancora con del cus cus freddo: l'intingolo agrodolce sarà un condimento perfetto.

Spaghetti al farro con pesto di erbe spontanee, fragole e fiori


L'ho già detto, che sono settimane di sperimentazioni per imprigionare il profumo dei fiori nel gusto del piatto. Dunque vi toccano anche le strampalate conseguenze...
"Le conseguenze", ovvero il prodotto della mia cucina quotidiana, passano sempre al vaglio della famiglia. Immaginatemi mentre, con la massima attenzione, osservo il marito, oltremodo silenzioso, spiando ogni espressione mentre mangia questi spaghetti, con quel sopracciglio che a volte si alza in segno di assenso, ma (a volte) anche no! E immaginatevi i due figli, impertinenti e impietosi che (a volte) spazzolano come se non ci fosse un domani, almeno tanto quanto rifiutano senza pietà. Ecco, in due righe vi ho tratteggiato un quadretto degno di una sit-com televisiva.
Tornando alle mie sperientazioni, io da tempo volevo provare a preparare un pesto alternativo al nobile e quasi blasonato pesto ligure. Mi piace pensare che anche il contadino di una volta, con la sola, umilissima, conoscenza dei sapori di ogni singola foglia spontanea, potesse farsi il dono di un buon pesto, dal sapore originale e sorprendente, da accompagnare a una pasta rustica come quella di farro, ma anche essere presentato in maniera elegante e con sapori ben bilanciati... un tocco di acidità ed uno di croccantezza.

La pasta, invece, è un semplice spaghetto al farro. Una pasta secca, industriale, comoda e pronta all'uso con 11 minuti di cottura e con il pregio di portare sulla tavola un cereale ancora abbastanza genuino. Andato quasi perduto nel secondo dopoguerra, il farro è tornato in auge nell'ultimo decennio grazie a politiche agricole che hanno cercato di valorizzarlo in quanto cereale "forte", molto resistente anche a temperature non troppo miti e in terreni aridi, rendendo possibile riqualificare anche appezzamenti altrimenti non adatti a colture più intensive.
Il farro risulta interessante anche dal punto di vista nutrizionale: a fronte di un più alto apporto di proteine rispetto al grano, rimane importante la percentuale di fibre insolubili, quindi adatto all'intestino pigro. Infine, il sapore della pasta è particolare, più aromatico rispetto alla classica pasta con farina di grano duro. Quindi può sostenere anche condimenti particolarmente forti.

Eccomi quindi a chiudere il cerchio con una ricetta che, nonostante i singoli ingredienti siano quanto di più rustico si possa pensare, è davvero a pieno titolo un piatto regale. La presentazione in queste foto è volutamente elegante e quasi eterea, per rendere onore a materie prime che, nella loro umile origino, son davvero un "dono di Dio"... le erbe spontanee.
E, se durante la vostra prossima passeggiata fuoriporta avrete la voglia di raccogliere qualche foglia e farne un pesto, questo piatto non vi deluderà!



Spaghetti al farro con Pesto di erbe spontanee
fragole e fiori
(di salvia, rosmarino, melissa, aglio orsino)
dosi per 5 piatti

320 g. pasta al farro
10 fragole fresche
(oppure 30 g. circa fragole disidratate)
facoltativo: zeste di limone

Per il pesto:
**20 o 30 g. erbe spontanee miste 
20 g. nocciole pelate
20 g. mandorle pelate
30 g. parmigiano stagionato 30 mesi
80 g. circa Olio extra vergine leggero
(qui, proveniente dal Lago di Garda)
Sale


**Questo pesto l'ho fatto alla fine del mese di aprile ed ho usato, in quantità pari per ogni tipologia: achillea, melissa, piantaggine, aglio orsino e salvia dei prati. Sono tutte foglie di sapore leggermente aromatico e non troppo amaro.

Con un piccolo mixer, ho ridotto in farina le nocciole e le mandorle.
Ho aggiunto il parmigiano grattugiato e fatto andare ancora un poco. Infine ho messo le erbe, foglie crude e fresche che avevo prima lavato ed asciugato bene. Ho frullato bene e solo a questo punto, ho messo il sale.
Aggiungo l'olio solo dopo aver ottenuto una sorta di "pasta" con gli ingredienti di cui sopra, e regolo la quantità in base alla fluidità del composto finale.

Cuocio la pasta e la scolo quando è perfettamente al dente, la condisco in una padella saltapasta (fuori dal fuoco) dove ho sciolto il pesto con pochissima acqua di cottura.

Aggiungo le fragole ed i fiori solo nel piatto, disponendoli in modo omogeneo. I fiori qui disponibili erano: melissa, rosmarino, salvia officinale e aglio orsino. Va da sé che ciascuna di queste piante porta alla salute benefici effetti, conosciuti dalla medicina naturale come rimedi per molti disturbi, dei quali anche oggi spesso si soffre.

Note:
L'ho preparata sia usando le fragole fresche sia quelle disidratate: nel primo caso l'insieme è molto fresco e la nota leggermente acidula delle fragole sta benissimo. Nel secondo caso ho gradito aggiungere la zeste di limone, e mi è piaciuta tantissimo la croccantezza delle fragole disidratate.
Voi scegliete la versione che più v'intriga!
(Per chi non sa dove prendere le fragole disidratate: non inorridite, ma io le ho tolte da una confezione di fiocchi per la colazione... :-) )


Risotto al mascarpone e rosmarino. E salvia (dei prati) croccante



Rompiamo il silenzio-stampa degli ultimi (tre!) mesi.
Mentre penso a cosa scrivere, un motivetto mi ronza in testa come una brezza, un sottofondo che mi rimanda a quando ero piccola, negli anni 70' e dappertutto imperversava quel "Per fare tutto, ci vuole un fiore!".
Come dare torto a Sergio Endrigo, che con il testo di una canzoncina, ci ricorda non solo che i fiori sono utili, ma che sono importanti, così importanti da poter risalire con loro alle origini del mondo. Si dai, lo so non esageriamo. Però un fondo di verità c'è di sicuro.
Io comunque li amo tutti, i fiori. Da piccola li mangiavo anche, anzi devo dire che la mia passione per degustare, forse è nata proprio così, per "sentire un fiore". Anche ora che sono "grande" (ecco, si, un eufemismo per dire che ho pure una certa età :-D ) durante le mie passeggiate nel bosco non mi posso sottrarre al fascino di una scorpacciata di fiori. Se è marzo, il bottino sono le primule, leggere e quasi dolci, ad aprile c'è l'aglio orsino, pungente e aromatico, ma trovo anche il rosmarino. Poi subito dopo arriva la salvia dei prati. E poi l'acacia, il sambuco, il tiglio...

Oggi va di moda usare i fiori in cucina, è chic. Se ne fa un uso molto discreto nei ristoranti di un certo livello per decorare i piatti e il web non si sottrae a questa moda di imitare quello che si fa nelle grandi cucine. Però si pecca di "imitazione" senza cercare di capire.
E mi direte "Cosa c'è da capire? Con i fiori si decora, si impreziosisce, si dà un tocco di colore, di eleganza e nel complesso anche di grande raffinatezza, no?" seguendo la regola tassativa secondo cui tutto quel che viene messo nel piatto deve poter essere mangiato. Ovvero, dico io, dev'essere messo a ragion veduta. Appunto.

Avete mai mangiato un fiore per sentirne il gusto? Provateci e scoprirete che, per molti che non sono particolarmente significativi, ce ne sono alcuni che, con il loro profumo e la loro essenza possono letteralmente stravolgere il sapore complessivo di un piatto.
Proprio su questa falsariga, da settimane la mia cucina è invasa da fiori, rigorosamente raccolti per prati e per sentieri, pestati (coi denti) e mangiati come condimento di semplici piatti quotidiani.

Come dire che, con dei semplici fiori, anche la cucina del contadino può trasformarsi in una cucina d'alto livello. Io, su questo non ho dubbi, perché usare i fiori in un piatto significa prima capire il piatto, poi capire il fiore e, infine interpretare il risultato.
Decido quindi di cucinare un semplicissimo risotto. Un risotto cremoso mantecato con del semplice, genuino e delicatissimo mascarpone, inserendo però una "nota" croccante (Masterchef et company docet) e sull'onda della moda imperante, quella dei fiori appunto, raccordo la mia passione per la raccolta delle erbe spontanee.



Risotto al mascarpone e rosmarino
con salvia croccante
dosi per 4 porzioni

320 g. riso Carnaroli
700 ml. brodo di verdure leggero
120 g. mascarpone
1/2 bicchiere vino bianco secco
2 cucchiai farina bianca 00
1 cipolla piccola
1 noce di burro*
Foglie e fiori di salvia dei prati
Fiori e 1 rametto di rosmarino





*Il risotto è di tradizione nelle regioni del nord Italia, quindi mi piace ogni tanto usare del buon burro invece dell'ormai onnipresente olio extravergine d'oliva. Ma sentitevi liberi di fare come a voi piace di pi, la bontà del risotto non cambierà!
Il procedimento che adotto per preparare un risotto è sempre lo stesso, quello delle mamme e delle nonne: trito la cipolla molto finemente, la faccio rosolare in poco burro finché diventa morbida, quasi trasparente e poi verso il riso. Lo faccio tostare un poco e sfumo con del vino bianco secco.
Aggiungo del brodo vegetale caldo e continuo la cottura, mescolando ed aggiungendone via via che si asciuga.
Mentre il risotto cuoce, preparo la salvia croccante: scelgo foglie di dimensione medio piccola, dato che la salvia dei prati può sviluppare foglie di dimensioni anche molto grandi, le sciacquo ed asciugo velocemente, quindi le passo nella farina bianca. Infine le cuocio in un velo di burro, finché diventano croccanti.
A qualche minuto dal termine, regolo di sale ed aggiungo il mascarpone, che si scioglierà in un attimo. Poco prima di impiattare aggiungo il rosmarino tritato finissimo.
Servo il risotto completando il piatto con i fiori -di salvia e di rosmarino- e con le foglie croccanti.

Cuori alla rapa rossa. Polpette a San Valentino



Ricordando quei tempi in cui la serata di San Valentino si festeggiava :)
Era un venerdì sera..., una sera come tante, un venerdì piovoso, di quelli in cui esci dal lavoro e normalmente vorresti volare a casa a preparare una cenetta calda e molto “comfort” per farti riempire di coccole da Lui.
E invece no. Era una di quelle sere in cui proprio non ne avevo voglia. Uffa.
E' che dopo la sera prima, non mi era ancora passata.
Già c'era il capo che aveva bisogno di quella relazione urgente; e avevo fatto tardi. Trafelatissima, senza ormai più il tempo per una spesa, guidavo e pensavo cosa improvvisare per la cena, ricordando il freezer così vuoto che anche solo uno sguardo poteva fare l'eco. Ed il pizza flash sotto casa era di riposo. Bene, ho pensato, stasera si cena fuori. Ecco, in un lampo avevo deciso e tutta contenta prendevo il cellulare.

“Senti, che dici se andiamo al messicano stasera?” Un attimo di pausa, al telefono e poi la sua voce, tra il contrito e il mortificato: “Ah scusami, non ti ho avvisato che stasera avevo la pizzata con la squadra...:-("

Scazzo totale. E mi toccava anche rispondere? No. Troppo furibonda. Meglio chiudere senza ribattere. Meno male che non ce l'avevo vicino altrimenti avrei potuto fare le prove di lancio al bersaglio. Ma (fortuna per lui) eravamo lontani.

L'uomo, questo sconosciuto.
Le donne vengono da Venere, gli uomini da Marte.
Ma che imparassero a comunicare, almeno! E invece servirebbe un bel Manuale con le istruzioni per l'uso. Ahimè un libro mai scritto. Eppure scommetto che diventerebbe un caso letterario senza precedenti. Un regalo perfetto che chi decide di sposarsi. Altro che lista nozze, confetti, fotografo, partecipazioni. Un bel manuale di istruzioni per l'uso del compagno.

Ma poi noi, sinceramente, non è che vorremmo la Luna, solo che cercassero di capirci un po'. Una volta tanto. Che non è così impossibile. #Sapevatelo

A me ad esempio basterebbe, una volta ogni tanto, un pensiero che mi stupisce, che mi meravigli, una cosa che non mi aspetto. Tipo: invece di dimenticarsi di me, che mi preparasse una cenetta a sorpresa!
Non pretendo le candele accese, la bottiglia di bianco frizzante in fresco e Lui in grembiule da masterchef con una cena francese, sia chairo. Anche perché oggi ci sono i figli e fare i fidanzatini sarebbe proprio un'impresa. Però sarei stata la gratitudine allo stato puro se al mio rientro dopo una giornata pessima, un profumino mi accogliesse per farmi "immaginare" qualcosa di preparato apposta e solo per me. Magari per farsi perdonare della buca della sera prima.
No, dico, anche solo delle polpette. Sarebbe troppo?
Io poi, di mio ci giocherei con il colore e, perché no, con la forma!

Beh che dire, intanto me le sono fatte da me.
#percheiovalgo.
Buon San Valentino!



Cuori alla rapa rossa
dosi per due

50 gr. Formaggio grana
50 gr. Pane raffermo
(o in alternativa crackers, fette biscottate..)
50 gr. Barbabietola già cotta
1 albume
Sale, rosmarino
Olio extravergine per la cottura

Riducete a pezzetti il formaggio, il pane raffermo e, in un mixer con il rosmarino, frullate tutto benissimo, fino ad ottenere una sorta di farina. Aggiungete ora la barbabietola, frullando ancora per bene. Infine aggiungete l'albume e regolate di sale.
Con le mani umide, formate dei bocconcini; potete aiutarvi con una formina da biscotti se volete ricreare qualche forma particolare, come in questo caso, perché sia significativa della vostra iniziativa.
Scaldate bene l'olio in una pentola bassa, meglio se antiaderente, quindi disponete i bocconcini a cuorere, qualche minuto per lato. Servitele caldissime, accompagnando, se vi piace, con della panna acida e qualche erba aromatica dai vasi del balcone, secca o fresca non fa differenza.
© ESSENZA IN CUCINA

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