Tonno in trancio e purè di topinambur. Una ricetta in rosa


Questa è una preparazione molto “comfort”, che gioca la sua carta vincente accostando i toni di colore rosso-rosati. Il nobile e pregiatissimo tonno, qui si accompagna a un purè di topinambur, tubero di consistenza simile alla patata e che, contenendo molta inulina, può contribuire a ridurre l'assorbimento di zuccheri a livello intestinale, abbassando quindi il picco glicemico dopo i pasti.

Detto anche carciofo di Gerusalemme per il suo sapore che ricorda spiccatamente quello del carciofo, il topinambur è davvero un tubero dalle mille potenzialità.
Giunta in Europa dopo la scoperta dell'America, la pianta del topinambur, con il suo bellissimo fiore arancione alto e slanciato, si è subito diffusa nelle nostre valli e campagne. Sotto il profilo nutrizionale, il tubero del topinambur è ipocalorico e ha una caratteristica che lo rende preziosissimo per le persone con problemi di glicemia nel sangue. Può infatti contrastare l'innalzamento del picco glicemico in fase di digestione, grazie all'azione dell'inulina: una fibra insolubile, ovvero che non viene scomposta durante il transito nell'apparato digerente dell'uomo.

Una volta cotto, il topinambur assume una consistenza morbida, che ricorda quella delle patate, ma a differenza di quest'ultime, che devono assolutamente essere consumate cotte, il topinambur può essere gustato anche crudo. Per un pinzimonio dalla croccantezza unica non servirà nemmeno sbucciarlo: basterà lavare bene con una spazzolina, e tagliare a spicchi questi tuberi dalle forme un po' bitorzolute, portandoli in tavola semplicemente accompagnati da una vinaigrette,  un'emulsione di olio, limone, magari una punta di senape.

Se preferite cuocerli, invece, regaleranno una sfumatura di gusto particolarissima ai vostri minestroni, mentre per le vellutate potrete sbizzarrirvi accostando i topinambur ad altre verdure di vostro gradimento. Divertitevi scegliendo verdure a gruppi di colori omogenei: il topinambur, col suo colore bianco non cambierà la dominante cromatica dei vostri ingredienti, ma il suo sapore arricchirà il tutto in maniera piacevolissima.

Veniamo ora alla ricetta, semplice, ma raffinatissima per gli accostamenti e per i colori che la caratterizzano.
Trancio di tonno e purè di topinambur
Per 4 persone

600 g di tonno fresco
300 g di patate a pasta gialla
300 g di topinambur
1 cucchiaio di burro
Succo di barbabietola q.b.*
Latte q.b.
Sale

Per la riduzione di melagrana
1 melagrana
1 cucchiaio di aceto di mele
2 cucchiai di miele chiaro

Sbucciate e sgranate la melagrana, ponete i chicchi in uno schiacciapatate e spremetene il succo.
Mettete il tonno in una ciotola con metà del succo di melagrana e qualche grano di pepe; lasciatelo marinare per circa un'ora in frigo.

Scaldate il succo di melagrana rimanente e unitevi il miele e l'aceto. Fate ridurre a fuoco leggerissimo, fino a che velerà il cucchiaio, quindi togliete dal fuoco e lasciate raffreddare.

Lessate le patate e i topinambur con la buccia. Quando saranno teneri scolateli, fateli intiepidire e passateli nello schiacciapatate. Le bucce resteranno nell'attrezzo: toglietele di volta in volta. Quindi ripassate per eliminare eventuali grumi. Mettete il composto in una casseruola e unite poco latte, il burro, il sale e la noce moscata. Mescolate a fuoco dolce e solo alla fine aggiungete il succo di barbabietola, attentamente, poche gocce per volta, secondo la tonalità di colore che desiderate ottenere. Regolate di sale.

Scolate il tonno dalla marinata e scottatelo un minuto per lato in una padella antiaderente molto calda, facendo attenzione a non cuocerlo troppo: sarà molto più bello se al taglio avrà un colore rosso acceso. Salate il tonno e servitelo con il purè ben caldo e qualche goccia della riduzione di succo di melagrana. Magari anche qualche chicco per decorare il piatto.

Note:
*Per questo ingrediente basterà acquistare della barbabietola precotta, che si trova in vendita confezionata sottovuoto. Nella confezione, la barbabietola rilascia sempre qualche goccia di succo, che basterà per colorare il vostro purè. Al bisogno, potrete frullare della barbabietola con poca acqua, ottenendo una crema, che potrà essere usata per accentuare le sfumature di rosa.
**Gli altri ingredienti, come il tonno, le barbabietole, la melagrana e i topinambur sono ormai disponibili presso i banchi della grossa distribuzione. In questa stagione sarà facile trovarli al  supermercato... Sono certa che il topinambur riuscirà a rendere il vostro pranzo della domenica, qualcosa di veramente ricco e festoso!

Lo pan ner. Il tradizionale pane di segale delle valli valdostane

Il pane è da sempre il più importante degli alimenti per l'uomo, è il cibo che per antonomasia racchiude in sé tutti quei gesti ispirati alla cura della famiglia, al calore domestico. E' un'importante "luogo" d'identità per tutte le popolazioni, soprattutto per quelle alpine, che vivono in zone aspre e faticose da coltivare. L'importanza del pane, in questa fascia climatica è qualcosa di profondamente rappresentativo del legame della gente col suo territorio. Forte è il valore simbolico del pane, come elemento culturale di una popolazione; esso esprime anche un legame con i paesaggi della sua produzione, con le tecniche della sua lavorazione, della conservazione e dei suoi usi più tipici. Un patrimonio immateriale di grande importanza.

In Valle d'Aosta, tipico e tradizionale è il pane nero di segale, anche detto in lingua locale pan ner per il suo colore piuttosto scuro. Si tratta di un pane preparato con una miscela di farine tra cui spicca quella di segale, un cereale molto rustico da coltivare anche in climi freddi. L'antica tradizione di queste zone vuole che al pane fosse dedicata una particolare giornata dell'anno, preferibilmente a dicembre, mese in cui il lavoro era per tutti calmo, le coltivazioni ferme e le vacche in stalla.  In questa giornata, in ogni famiglia si impastavano pani e pagnotte in grandi quantità.
La Regione Valle d'Aosta, nell'ambito del più ampio progetto Alp Food Way, in un'ottica di conservazione e valorizzazione del patrimonio alimentare culturale alpino, e per ricordare l'antica giornata del pane, organizza la festa de Lo pan ner, giunta nel 2017 alla sua seconda edizione. Il 14 ottobre scorso si sono tornati a riaccendere oltre cinquanta forni comunitari, dislocati in tutta la regione. In tutte le comunità gli abitanti -dai più grandi ai più piccini- hanno partecipato alla preparazione degli impasti, alla cottura e alla vendita di questo prezioso alimento.

Grazie ad AIFB, l'Associazione Italiana Food Blogger di cui faccio parte, e in collaborazione con la delegazione AIFB per il Piemonte e Valle d'Aosta, è stato possibile consolidare un partenariato con l'Assessorat de l'éducation et de la culture - Bureau régional ethnologie et linguistique della Regione VDA, tramite il quale ho preso parte ad un bellissimo tour a Cogne (Aosta) durante lo svolgimento della festa de Lo pan ner.
AIFB ha anche curato un bellissimo contest tra i propri soci, per la creazione di ricette dove il pane nero di segale valdostano fosse l'ingrediente protagonista, accostato però ad ingredienti tipici di regioni differenti, in una rilettura attualizzata del suo utilizzo. Anch'io ho proposto una mia ricetta, il Salmerino su crema di pane, con olio al rosmarino.

L'Ufficio del turismo di Cogne mi ha affiancato a Nicola Gerard, guida escursionistica del Parco nazionale del Gran Paradiso, che nella giornata di sabato 14 ottobre mi ha accompagnata in una sorta di tour a visitare i forni della zona. Il territorio di Cogne confina con il Parco Nazionale del Gran Paradiso: dalla piazza del comune, rivolgendosi verso sud, la maestosità del ghiacciaio del Gran Paradiso domina il paesaggio. Poiché amo profondamente la montagna, non ho parole per descrivere la bellezza e la forza di questi scenari.

Con Nicola accanto ho potuto assistere a tutti i rituali che, in una sola giornata, hanno ripercorso l'antica tradizione della preparazione del pane nei villaggi di Epinel e di Gimillan, due deliziose frazioni del comune di Cogne. Complice una giornata autunnale luminosissima e tiepida, il trekking percorso con Nicola è stato particolarmente suggestivo.
Calati in quest'aria di grande cooperazione, diventa facile sentirsi parte di una realtà che in un attimo ci catapulta indietro di un secolo... E i gesti della festa diventano parte di un ricordo ancora così attuale...

In un clima di festa particolarmente contagioso, tutti hanno preso parte alla preparazione degli impasti; quasi come in una catena di montaggio c'era chi impastava, chi disponeva le pagnotte perfettamente allineate per la lievitazione, chi sorvegliava il calore del forno e chi passava di mano in mano le pagnotte da infornare.


In passato si accendevano i forni con un giorno d'anticipo, per portare le cavità in temperatura, e in tutte le famiglie si iniziava con la preparazione degli ingredienti per l'impasto. La farina di segale, la farina integrale, la farina 00, acqua e sale. E lievito di birra. Niente lievito madre, per questo pane, poiché s'impastava una volta all'anno e non c'erano i presupposti per mantenere viva la pasta madre.
Il pane che ogni famiglia preparava in quei giorni doveva essere in quantità adeguate per poter sfamare la famiglia per un anno intero... Quest'aspetto rende Lo pan ner, e la sua tradizione, qualcosa di veramente particolare. Se una famiglia di quattro persone consumava in media una pagnotta al giorno, nella giornata del pane bisognava assolutamente cuocere almeno circa 360 pagnotte. I forni continuavano a funzionare per qualche giorno, per permettere ad ogni famiglia del villaggio una produzione di pani adeguata al numero dei familiari. La condivisione dei forni con le altre famiglie del villaggio, tutte con le stesse esigenze rendeva necessario creare disegni differenti sulle superfici dei pani, al fine di poterli distinguere, una volta mandati a cuocere.
La conservazione del prezioso alimento, poi, era un aspetto altrettanto importante: le pagnotte venivano disposte nei fienili delle antiche abitazioni. In questi locali sottotetto realizzati completamente in legno, oltre al fieno si teneva anche un armadio, con i pochi vestiti, oltre che vari attrezzi di lavoro e provviste diverse come formaggi, salumi. E poi, su speciali rastrelliere appese, le rateléte, si disponeva il pane nero a seccare.
Il piano terra delle tipiche abitazioni valdostane -alcune sono ancora ben conservate e tuttora in uso, anche convertite in locali tipici, come in questo bellissimo esempio- era costruito in solida pietra: vi si trovavano le stalle e lì, vicine, le stanze in cui alloggiavano le famiglie. Si poteva così contare sul tepore degli animali per mantenere una temperatura meno rigida in inverno.
Il pane, così riposto, diveniva in breve tempo molto secco, durissimo da tagliare; per quest'operazione si utilizzavano appositi taglieri dove veniva affettato; ma per poter essere consumato, doveva essere messo a bagno nel latte o nel brodo, e poi impiegato nella preparazione di altri piatti.
L'occasione dei forni accesi in dicembre, periodo molto prossimo al Natale, era particolarmente ghiotta perché si poteva sfruttare l'opportunità di cuocere anche il Méculìn, un bellissimo pane dolce. La sua forma ricorda una sorta di spirale e ancora oggi lo si prepara seguendo la ricetta-base tipica del pane di farina 00. A questa si aggiungono altri ingredienti, più ricchi e preziosi, come il burro, le uova, il miele, qualche  uvetta appassita e la scorza del limone. Con pochi accorgimenti si poteva così trasformare questo rustico pane in un delizioso dolce per le festività natalizie.

Le cavità di questi forni, particolarmente ampie, permettono di cuocere anche fino a 170 pani per ogni "infornata". Si è iniziato così a cuocere dal mattino presto, per continuare fino al pomeriggio inoltrato. La gente nel frattempo ha aspettato in piazza la cottura di ogni "tornata", fino al fatidico momento dell'apertura del forno... allora, in una sorta di balletto, avanti e indietro dal forno al banco in piazza, ecco girare assi colme di pagnotte, prontamente svuotate da avide mani che non volevano perdere l'opportunità di acquistare un pane così speciale.

In questi gesti, oggi come un tempo, c'è il lavoro di tutta la comunità, che nella condivisione degli incarichi di ciascuno, giunge alla condivisione comunitaria di un prodotto così carico di valori simbolici.
Ed è proprio grazie a manifestazioni come questa, che oggi diventa possibile il passaggio del testimone alle generazioni più giovani, attraverso il racconto vissuto in prima persona, delle tradizioni e dei saperi antichi, in un filo continuo dal passato al presente.



Grazie alla Regione Valle d'Aosta e ad AIFB - Associazione Italiana Food Blogger per la preziosa opportunità.

Dessert cremoso al limone e fiori di rosmarino


Sabato la scuola di mio figlio ha aperto le porte ai genitori per donare, dietro libera offerta, la verdura coltivata nell'orto didattico dell'istituto. 

Grazie al sostegno dell'amministrazione comunale e al preziosissimo impegno di una rete di volontari, i nostri ragazzi possono prendere parte a questo importante progetto, l'orto didattico, dove il fare e il saper fare traducono nella pratica termini come ecosostenibilità ed ecocompatibilità. Le classi possono così misurarsi, con frequenza settimanale, in lavori pratici e approfondimenti teorici, seguendo il ciclo vitale delle varie coltivazioni, rafforzando così il legame con la terra. Gli studenti possono portare a casa una piccola parte del raccolto e l'istituto invita le famiglie a valorizzare questi prodotti per permettere ai ragazzi di riprendere contatto con gusti divenuti ormai estranei ai palati più giovani. [*]

L'appuntamento di sabato era qualcosa che non potevo assolutamente perdere! Le verdure disponibili erano davvero tante, c'erano verze e cavolfiori di ogni tipo, cavolo nero, fagioli, zucche di diverse qualità e perfino le nespole. Una vera meraviglia. C'erano anche piccoli mazzetti di rosmarino... in fiore! E io non me lo sono lasciato sfuggire, felice come una bimba di potermi perdere, ancora una volta, nel meraviglioso viola delicato di questi graziosi fiorellini che mi ricordano delle piccole orchidee.

Il rosmarino è un arbusto aromatico che fiorisce un paio di volte all'anno, normalmente a giugno e a settembre, ma le temperature inusualmente calde di quest'ultimo periodo hanno fatto una piccola magia: una fioritura piena a novembre inoltrato. Con i fiori di rosmarino ho decorato un dessert leggero al limone, fresco e gradevole nonostante ci si trovi ormai in autunno.

L'abbinamento tra il limone e il rosmarino mi ricorda gli infusi che prepara mia mamma per contrastare i primi raffreddori di stagione. Si tratta di rimedi popolari che attingono ad un sapere antico e mi piace poterne dare una rilettura un po' alternativa, come in questo dessert al cucchiaio, perfetto per sgrassare il palato a fine pasto.


Dessert cremoso al limone e fiori di rosmarino
Ingredienti per 8 o 10 bicchierini

per il curd
150 g zucchero
3 uova intere
30 g burro
1 limone non trattato

per la meringa italiana
200 g zucchero
100 g acqua
3 albumi

Preparate prima il curd, anche qualche giorno in anticipo: in un pentolino dal fondo spesso sciogliete il burro con lo zucchero e la scorza del limone -grattugiata finissima-. Usando una frusta montate il composto e, appena il burro è totalmente sciolto, aggiungete un uovo per volta continuando a muovere la frusta. E' importante che la temperatura sia appena tiepida, in modo che l'uovo entrando a contatto con il burro sciolto non si cuocia all'istante, dando l'effetto di uovo fritto. Dopo aver aggiunto le uova procedete con il succo del limone filtrato. Mantenendo il composto a fuoco leggerissimo, lasciatelo addensare, usando la frusta per evitare che attacchi sul fondo. Sarà pronto quando la consistenza sarà molto simile a quella di uno yogurt liquido. Toglietelo dal fuoco e versatelo in una ciotola per farlo raffreddare completamente. Il curd è una crema che può conservarsi alcuni giorni in frigorifero, sigillando la ciotola con pellicola.

Preparate la meringa italiana, qualche in anticipo: scaldate l'acqua con lo zucchero e fatene uno sciroppo, in un pentolino. Portate il composto a 121° -usate un termometro da cucina per misurare la temperatura-. Basteranno alcuni minuti, durante i quali potrete iniziare a montare gli albumi con la frusta elettrica, in una una ciotola abbastanza ampia. Non serve arrivare a montarli a neve ferma, è sufficiente che diventino un composto fluido e un po' spumoso. Aggiungete una prima metà dello sciroppo a 121° con le fruste in movimento, e dopo un minuto completate con l'aggiunta dell'altra metà dello sciroppo. Continuate a montare a velocità sostenuta, per circa cinque minuti, o fino a quando il composto raggiungerà una consistenza soda, lucida e molto ferma, ma allo stesso tempo fluida, in grado di mantenere la forma. A questo punto la meringa è pronta, lasciatela raffreddare e conservatela in frigo.

Il dessert è il risultato dell'unione di questi due preparati: la meringa italiana nel curd al limone. Usate una paletta tipo leccaepentola in silicone, e fatelo con movimenti circolari ampi dal basso verso l'alto. Potrete fare quest'operazione anche al momento di servirlo, oppure in anticipo, riservando il porzionamento dei bicchierini quando lo porterete in tavola. L'importante è che tutto sia freddo, alla temperatura del frigorifero. Decorate con i fiori di rosmarino solo al momento del servizio, daranno al tutto una nota un po' amarognola ma anche aromatica.

Nota: Per una cena un po' più elegante, sarà perfetto accompagnato da biscottini tipo lingua di gatto.


[*] Il comune di Scanzorosciate, in provincia di Bergamo, nell'ottobre 2016 è stato premiato con il primo posto al concorso nazionale Città per il verde, per il progetto dell'orto didattico.
Il progetto coinvolge oltre 600 alunni, trasversalmente dalla scuola dell'infanzia fino alle classi della secondaria di primo grado, che insieme ai volontari coltivano circa 4800 metri quadrati di terreno, con particolare attenzione alle biodiversità del nostro territorio. Il progetto, partito quattro anni fa con l'obiettivo di sviluppare nei ragazzi una conoscenza teorico-pratica dell'ambiente e dell'ecosostenibilità, coinvolge anche aziende agricole, un frantoio, Slow Food e il Consorzio del Moscato di Scanzo. Da quest'anno infatti sono state messe a dimora anche le barbatelle per l'uva del Moscato di Scanzo.
© ESSENZA IN CUCINA

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