17 gennaio 2016

La Cassoeula Bergamasca


Finalmente, su queste pagine si torna a vedere una ricetta come si deve, la Cassoeula Bergamasca, una ricetta frutto di un pensiero e di qualche piccola ricerca nella storia delle mie zone.
L'occasione mi viene offerta su un piatto d'argento dalla Giornata Nazionale della Cassoeula, per il Calendario del cibo Italiano. In questo bellissimo articolo scritto da Gianni, caro amico blogger lombardo, potrete leggere qualche traccia storica, notizie ed aneddoti ad essa legati. Inoltre, si chiude oggi la Settimana del maiale iniziata lunedì scorso.
Qui vi dico solo che l'abbiamo messa proprio in questa data perché è l'anniversario della morte di S.Antonio Abate, il primo tra i Padri del Deserto, da sempre legato al maiale; e proprio in questa data cadeva l'ultimo giorno per la macellazione dei maiali.

Il nome di Sant'Antonio viene indissolubilmente legato al maiale per una storia molto particolare, che la studiosa Laura Fenelli ci ha illustrato durante l'ultimo Raduno AIFB.
Nel periodo medievale Sant'Antonio divenne popolare grazie all'opera degli Ospedalieri Antoniani, che si dedicavano alla cura degli ammalati del Fuoco Sacro (ora detto anche Fuoco di Sant'Antonio): i primi "miracoli" si erano verificati ad alcuni pellegrini presso la chiesa di La Notte Saint Didier a Parigi, dove si trovavano le reliquie del santo. In preda a spasmi e bruciori della pelle e delle carni, e in mancanza di conoscenze sulle origini di questa malattia, i malati invocavano il santo, ritenuto protettore contro il fuoco l'infiammazione e l'epilessia.
La malattia, davvero terribile (se ne trovano già cenni ed accurate descrizioni a partire dall'anno 1000) era causata in realtà dal consumo di segale cornuta, ovvero contaminata dal fungo Claviceps Purpurea. Le epidemie furono ampie e perdurarono fino a tutto il XVI secolo, e tra la gente sofferente, chi poteva farlo, chiedeva le cure agli Ospedalieri Antoniani appunto, dove sembra che si potesse guarire miracolosamente da questa invalidante e dolorosissima malattia. Presso i monasteri Antoniani si allevavano i maiali e dalle lavorazioni degli scarti veniva ricavato un unguento che era parte integrante della cura, la quale prevedeva anche un'alimentazione ricca e sostanziosa.
Le "miracolose" guarigioni, in realtà accadevano per  un motivo molto semplice: un'alimentazione differente, più ricca, affiancata da maggior cura e pulizia della pelle. Solo grazie a queste semplici abitudini era possibile guarire da quella che, in realtà, era una semplice intossicazione alimentare.
La forza di questo culto è però rimasta radicatissima nel tempo, giunta fino ad oggi rafforzata dall'ampia iconografia che ancora è possibile osservare a proposito del Santo, spesso raffigurato accompagnato dal maiale.


Tradizionalmente la Cassoeula si cucina usando alcune parti del maiale poco nobili, come il piedino, il musetto e le cotenne, a cui si accostano le costine e qualche piccola salsiccia, detta anche "verzini" o, alla bergamasca, "codeghì".
Ma, come ormai noto tra queste pagine, la tradizione intesa nel senso classico non fa per me.
Ho pensato di onorare questo piatto solo mantenendo gli originali ingredienti in uso nella mia zona, così come ho sempre visto fare da mia mamma e dalle mie zie, rivedendo però sia il metodo di cottura che l'accostamento dei sapori. Spesso le ho viste mettere una mezza mela e spruzzare dell'aceto nella verza durante la cottura: francamente non conosco il motivo di quest'uso, ma posso immaginare sia legato alla volontà di renderla più digeribile dandole una punta di acidità.
Ho fatto mio questo "trucco" usandolo però in un modo alternativo, ho creato una riduzione di aceto con del miele, ed ho fatto essiccare, in modo molto casalingo, delle meline selvatiche che avevo avuto in dono da un'amica, affettandole e ricavandone quindi delle chips croccanti. Ho scelto di usare le costine, la verza e la loanghina (la salsiccia arrotolata).
Per la cottura degli ingredienti principali ho usato pentole differenti, tre in tutto e, nonostante questo, me la sono cavata in un'ora. Una sola ora per preparare questa Cassoeula rivisitata alla mia maniera, che a modo suo ha onorato le (mie) umili radici valligiane ed ha potuto dare anche ai miei figli la dimensione di una tradizione, vissuta con un piatto storico pieno di gusto e di quella leggerezza che i nostri moderni palati ormai esigono sempre più spesso.

Cassoeula bergamasca
(rivisitata alla mia maniera)
per quattro persone

10 costine di maiale
1 mt. salsiccia arrotolata (loanghina)
5 - 6 foglie grandi di verza
1 piccola carota
1 cipolla
1 bicchiere di vino bianco
qualche fettina sottile di lardo, completa della cotenna
(se non lo avete o se non vi va, usate pure del buon olio extravergine)
Sale, pepe

Per le chips di mela e la riduzione di aceto al miele
(che potrete preparare anche con molto anticipo)
2 piccole mele rosse
200 ml. aceto bianco
2 cucchiaini di miele chiaro

Iniziate con una pentola ampia e bassa, possibilmente antiaderente, scaldatela bene e fatevi rosolare le costine, a secco senza aggiungere nulla che un poco di sale a metà cottura. Tenetele girate con attenzione in modo che su tutti i lati possa formarsi la crosticina. Quindi salate, abbassate il fuoco e coprite, lasciando andare per circa 20 min.
Pulite le foglie di verza dalla costa centrale molto dura, tagliatele a listerelle di 1 cm.; nel frattempo
portate a bollore dell'acqua acidulata con una spruzzata abbondante di aceto, in una pentola capace. Al bollore, salate e scottate la verza, per due - tre minuti non oltre. Scolate e raffreddate immediatamente la verdura in una bacinella che avrete preparato con acqua freddissima (io vi lascio in immersione anche una piccola ghiaccetta, di quelle per le borse termiche). Quindi scolate e tenete da parte.
Scaldate bene una pentola bassa e larga, antiaderente, quindi scottate la loanghina, che avrete prima tagliato a pezzetti ci circa 6 - 7 cm. Come già fatto per le costine, tenetela ben girata per farla arrostire su tutti i lati. Quando tutti i pezzi saranno coloriti, sfumate con del vino bianco, coprite e lasciate andare a fuoco bassi per qualche minuto. Poi, aiutandovi con una pinza, trasferite la loanghina nella stessa pentola dove tenete le costine, coprite e mantenete tutto ben caldo.
Nella pentola rimasta vuota, avrete una sorta di fondo di cottura, che farete leggermente ridurre a fuoco basso.
A questo punto aggiungete il lardo (oppure l'olio, se non volete usare il lardo) e fate un soffritto con un trito di carota e cipolla. Aggiungete le listerelle di verza già ammorbidite dallo sbianchimento, regolate di sale e fate andare a fuoco vivace. Siccome a me piace mantenere una certa croccantezza e volevo che il colore restasse brillante, non le ho cotte molto, ma voi su questo aspetto regolatevi come preferite. Se vi piace morbida e quasi sfatta, aggiungete acqua e fatela andare un po'di più.
Al momento di servire, trasferite tutta la carne (costine e loanghina) sulla verzacompreso tutto l'intingolo che nel frattempo si sarà formato e portate in tavola la pentola caldissima.
Impiattate creando una base con la verza e sovrapponendo la carne. Accostate qualche chips di mela e completate con qualche goccia di riduzione di aceto al miele.
Un consiglio: lasciate pure in tavola la tazzina della  riduzione di aceto, perché se ne vorrà ancora aggiungere, man mano che si mangia!




Per la riduzione di aceto al miele
In un pentolino piccolo con il fondo spesso, ho scaldato l'aceto ed il miele, lasciando andare a fuoco bassissimo fino che il tutto di è ridotto ad una consistenza simile  quella dell'olio. Prima di togliere dal fuoco, vi ho aggiunto e sciolto due cucchiai di aceto. Senza attendere che sfumasse ho tolto il tutto dal fuoco ed ho trasferito in un vasetto con coperchio, per poter conservare questa glassa in frigo. Raffreddandosi, la sua consistenza diverrà simile a quella del caramello. Anche il suo gusto è molto dolce, ma l'aggiunta di quel tocco d'aceto all'ultimo rafforzerà il sentore aspro, che nella cassoeula darà il meglio di sé.

Per le chips di mela
(le ho preparate in anticipo)
Ho affettato sottilmente le mele, le ho disposte su della carta assorbente e le ho lasciate per un paio di giorni su un termosifone. Possono essere conservate in barattoli di vetro, ed usate anche per degli infusi.



Il Calendario è rivolto a tutti i blogger, associati e non associati.

Partecipare è semplice: per le Giornate Nazionali, basterà pubblicare la propria ricetta nella giornata che si celebra, entro la mezzanotte, lasciando il proprio link nei commenti all’articolo dedicato sul sito Aifb. Per le settimane, invece, si ha più tempo a disposizione e volendo/potendo si possono pubblicare più ricette, ma non più di una al giorno, sempre lasciando poi il proprio link nei commenti all’articolo dedicato sul sito Aifb.
Se si volesse pubblicare la propria ricetta in contemporanea all'uscita dell'articolo di presentazione sul sito Aifb (che esce alle 9 di ogni giorno per le Giornate Nazionali e alle 14.30 di ogni lunedì per le settimane), bisognerà programmare la ricetta sul proprio blog, contattare l'Ambasciatrice referente ed inviarle il relativo permalink almeno due giorni prima l'uscita dell'articolo sul sito Aifb.
Qui troverete l’elenco in continuo aggiornamento delle Giornate nazionali e delle settimane che si susseguiranno per potervi poi organizzare al meglio.
Nel proprio post si deve sempre fare riferimento al Calendario del Cibo Italiano e alla Giornata o settimana che si vuole celebrare, linkando il relativo articolo apparso sul sito Aifb.
Gli hashtag che animeranno il web durante questa lunga kermesse sono
#calendariodelciboitaliano #calendarioaifb #italianfoodcalendar

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5 gennaio 2016

Ragù di croste di Parmigiano con polenta bianca

Questa ricetta è per il Calendario del cibo Italiano, la nuova e magnifica iniziativa di AIFB partita il 1° gennaio e che ieri inizia la sua prima settimana dedicandosi alla Cucina degli avanzi.
Il post scritto dalla cara Cindystar illustra benissimo il concetto della cucina degli avanzi ed anche le sue radici storico culturali.
Per l'ccasione non ho svolto particolari ricerche, che potessero raccontare una storia nella nostra storia e nelle nostre radici, fatte di tanto lavoro e di cose semplici, senza alcun lusso o raffinatezza; mi accontento di portare su queste pagine quello che chi mi conosce ha già letto più volte e che, forse complice l'origine semplice della mia famiglia, è molto nelle mie corde: il riciclo. Riciclo ad oltranza di tutto quello che in cucina circola, sia esso sotto forma di pietanze cucinate in quantità maggiori del necessario, sia sotto forma di scarto di lavorazione... bucce, foglie, gambi "e quant'altro".
Nell'accezione di scarti, stanno anche le famose croste di parmigiano, che fin da piccola ho imparato a conservare per poterne aggiungere alla zuppa di verdure. Inutile ricordare qui le litigate tra me e mia mamma per averne un pezzetto nel piatto: le adoro, così come adoro il sapore inimitabile che regalano alla zuppa.
Tempo fa in rete ho trovato idee per utilizzare queste preziose croste in maniera inusuale per avere una sorta di "ragù" e ne ho così elaborato una mia versione, da usare però nelle maniere più convenzionali. Sulla polenta avanzata, per esempio!
Che dire invece della polent, che dalle mie parti è davvero un must... per mia mamma non è domenica e non è prano della festa se non c'è la polenta. E guai a lesinare con le quantità, tant'è che da noi è davvero difficile finire un pranzo finendo anche la polenta. Anzi, ricordo una volta in cui la feci io, azzeccando la quantità perché arrivasse al servizio giusta-giusta... e mia mamma s'arrabbiò così tanto! ...quasi fosse un peccato non aver più polenta da servire. Comprendo solo ora mentre lo scrivo, che il cucinarne in grande quantità, anticamente era un fatto voluto, proprio perché ne avanzasse e nei giorni successivi ci fosse ancora l'opportunità di un companatico già pronto!
Per quest'occasione ho voluto provare a preparare la polenta con la farina bianca, ottenuta dai semi di mais bianco, che sono più rari del mais giallo e vengono maggiormente usati in Veneto. Ma potrete gustare il ragù di croste di parmigiano anche sulle fette di polenta gialla, la classica polentona bergamasca, oppure su una ricca polenta taragna. Il gusto e la strana consistenza delle croste ammorbidite, faranno da contrasto con la morbidezza della polenta e nel complesso avrete un piatto sapido e pure vegetariano, di grande creatività sul fronte del riciclo degli avanzi.



dosi per 4 porzioni piccole
100 gr. croste di parmigiano
100 gr. pomodori secchi
(rinvenuti in acqua per qualche ora)
2 bicchieri vino bianco secco
olio, aglio, sale
Polenta avanzata, preparata in fette
(oppure polenta preparata apposta per l'occasione, perché no!)

Raschiate e pulite le croste di formaggio, tagliatele a striscioline simili alle patatine in stick, ovvero circa 1 x1 x 5 cm e mettetele a cuocere con il vino bianco in un pentolino dal fondo spesso, a fuoco leggerissimo. Questo passaggio serve per ammorbidire bene le croste di parmigiano. Quando saranno tenere, tenetele da parte in tiepido, prima di scolarle.
A parte preparate un leggero soffritto con poco olio e l'aglio non spellato. Aggiungete dopo poco i pomodori secchi appena leggermente strizzati e tagliati a striscioline, fate andare a fuoco leggero per qualche minuto. Poi eliminate l'aglio ed unite le croste morbide appena tolte dal vino. Continuate, a fuoco leggero per non scioglierle, ma solo fino ad una consistenza molto morbida delle croste.
Preparate le fette di polenta in piccole pirofile, aggiungendo una cucchiaiata di ragù di pomodori e formaggio e passando qualche minuto in forno. Servite caldissimo!




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