30 giugno 2014

#Di vigna in vignetta



Parlare di donne mi piace. Ma soprattutto mi piace parlare di quelle donne speciali, che stanno nel mondo per dare qualcosa di loro che resti. E non parlo (solo) di figli, ma di una presenza che rende il lato femminile un luogo tutto a sé. Penso a quella voglia di fare e di non fermarsi di fronte a nessuna difficoltà, penso a quel loro modo di saper guardare e tendere una mano. Per dare, appunto.


Questo è quello che ho visto negli occhi delle "Donne del vino del Piemonte".
Sono parte di un'Associazione che festeggia nel 2014 i suoi venticinque anni di attività e, proprio quanto le Langhe, Roero e Monferrato entrano nel patrimonio dell'umanità dell'UNESCO, hanno organizzato una manifestazione,  Di vigna In vignetta conclusasi proprio oggi, che le ha viste impegnate per due mesi, con tutti i fine settimana densi di appuntamenti, di racconti e di condivisioni, rigorosamente declinati in rosa.



In particolare, alle "donne del mondo blogger" hanno dedicato un sabato intero... hanno ospitato molte di noi presso i locali del prestigioso ICIF, Italian Culinary Institute for Foreigners presso il Castello di Costigliole d'Asti, prendendoci per mano ed accompagnandoci ad incontrare altre donne che sono una parte delle radici della storia della cucina piemontese.






E così, ecco Alessandra e la nonna Anna Bardone del Ristorante Belbo da Bardon a San Marzano Uliveto, che realizzano il bunet secondo la storica ricetta della mamma di Anna, rigorosamente a mano ed assolutamente senza il liquore, perché così è una festa anche per i bambini. E noi "blogger", si che eravamo come bambine felici in un parco giochi... in più di venti, nella Pastry room dell'Icif, a seguire il passo-passo.
Io a dire il vero lo ho guardato poco: è stato speciale condividere una storia personale con la signora Anna, che solo con quel groppo di lacrime strette in gola è riuscita a dirmi che lei, la sua cucina, l'ha dovuta lasciare dopo oltre cinquant'anni di lavoro perché la salute non è più quella di una volta. E il suo Cuore fa le bizze, ma per la cucina l'ho sentito battere ancora fortissimo.


E che dire di Maria Lovisolo, del ristorante Violetta a Calamandrana, una donna piccola e fortissima che, a ottantaquattro anni ancora cucina la Finanziera e l'Aspic piemontese in maniera magistrale. Meravigliate come l'Alice nel paese magico, abbiamo visto le sue mani al lavoro ma soprattutto abbiamo ascoltato la sua storia: quella di una donna che nel fiore degli anni rimane vedova e, con due figli adolescenti prende in mano il ristorante del marito, tracciando una strada che oggi sono i figli e la nuora a percorrere insieme. E come rimanere indifferente mentre la sento dire "..non ho più sorriso per anni". Anni di lavoro durissimo...
Mentre spiegava il suo aspic (e diceva che la gelatina si fa bollendo ginocchia e zampetti per sei ore come fosse la cosa più normale del mondo  O_°) qualcuno l'ha anche sentita dire sottovoce -e in un dialetto per me intraducibile- "chissà se qualcuna lo fara, poi!?".


Che dirle, cara signora Mariuccia (Violetta per gli amici), il suo Aspic me lo porto nel cuore, perché anche se non farò il bollito di sei ore, ho compreso che senza una radice, importante come quella che Lei ha condiviso con noi, non potrei nemmeno tentare una re-interpretazione degna di questo nome.
Perché con Lei ho capito la ricetta, e solo così posso lavorarci. La consideri una promessa.


Invece Mariuccia Bologna, del ristorante "I Bologna" di Rocchetta Tanaro, è una donna piena di energia e di forza, impasta la pasta per gli agnolotti col plin (il pizzicotto) che è una meraviglia. E pizzica quelle strisce ripiene con una velocità ed una perfezione invidiabili. Anche stavolta, noi bimbe curiose abbiamo messo le mani nel ripieno e, mentre l'occhio vigile di Mariuccia coglieva imperfezioni, ordinava in righe e colonne gli agnolotti nei vassoi



noi felicemente "pizzicavamo" ... un po' gli angolotti e un po' il ripieno, che ci sembrava così tanto che dai, anche a mangiarsene un pochino "così" mica resteremo senza!!
Anche Mariuccia mi ha saputo commuovere mentre raccontava di quel suo tirocinante speciale, un ragazzo giapponese che rimase da loro ben oltre il periodo dello stage, quindici anni, che sono un tempo lunghissimo. Un tempo in cui  per loro è diventato quasi come un figlio, tanto che dopo essere ritornato nel suo paese, ha aperto un ristorante suo tra Tokio e Osaka, che ha chiamato proprio "I Bologna", sua seconda famiglia.


E ancora, come non sorridere alle tenere e magiche parole di Marina Ramasso, dell'Osteria del Paluch a Baldissero Torinese, che mentre prepara le piccole pere di San Giovanni per fare la sua marmellata di pere al Brachetto e al Moscato, parla di come "è il cibo che ti parla". Pure stavolta mi sono sentita muovere qualcosa dentro. Perché è vero, è proprio così che dev'essere vissuto il cibo, è questo il giusto modo di avvicinarsi alla materia prima: con rispetto, ma soprattutto pieni di voglia di "ascoltare" quello che bolle in pentola. Rumori, odori e profumi che durante le lavorazioni ci dicono ben più di quello che si può scrivere in una ricetta: possono dirti quanto è il momento di alzare il fuoco o aprire il forno, quando devi aggiungere zucchero e quando invece non serve...
Ascoltare è la parola chiave. E io aggiungo ascoltare anche con gli altri sensi, non solo con le orecchie.



E con un Cuore grande e generoso, come le terre di Langhe e Roero, ormai Patrimonio dell'Unesco



Un grazie grandissimo:
a tutte le donne del vino del Piemonte
alle due splendide organizzatrici dell’evento Marianna Natale e Fiammetta Mussio
alla "mia" donna del vino Laura, a cui dedicherò un post a parte
e un grazie anche all'AIFB, Associazione Italiana Food Blogger, che ha offerto a me, socia insieme alle carissimime Cristina, Sandra, Antonella e Chiara, il privilegio di poter prendere parte a tutto questo.
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